martedì, dicembre 31, 2013

Libertà di stampa in Italia: da noi è malafede




DIALETTICANDO



Libertà di stampa: da noi è malafede
di Massimo Alberizzi











L’informazione? Né di destra, né di sinistra: altrimenti è propaganda

L’informazione non deve essere di destra o di sinistra, dovrebbe essere “critica”. Basata su fatti concreti e verificati. Come ci ha insegnato Joseph Pulitzer: “Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.

L’informazione deve dare fastidio al potere. Non deve essere lo scodinzolante cane da compagnia dei potentati, ma il feroce cane da guardia dei cittadini. Non deve avere alcun riguardo per il potere, senza badare se il potere è di destra, di sinistra, di centro, religioso, laico o di altro genere. Deve mordere ogni mano che vuol tentare di guidarla.

E’ chiaro che ogni giornalista ha la sua sensibilità, la sua educazione e la sua cultura ed è chiaro che filtra le informazioni che riceve attraverso di esse. Ma non è eticamente corretto privilegiare - o addirittura costruire - notizie dirette a confermare tesi precostituite. A un giornalista si deve richiedere di essere intellettualmente onesto.
Oggi assistiamo sempre più spesso a giornalisti che invece di dare notizie diffondono indiscrezioni o frasi a effetto. La velocità nel diffondere le notizie, velocità imposta dalla televisione e da internet, rende difficile distinguere cosa è vero da cosa è verosimile. Se ha un dubbio sull’attendibilità di una notizia, un giornalista non dovrebbe divulgarla. Invece spesso osserviamo che vengono diffuse notizie incontrollate. E non verificate.

Ciò accade per due motivi. Il primo perché viene privilegiata la velocità invece dell’accuratezza e il secondo, ancora più grave, perché si cerca di favorire una parte politica. Attenzione non parlo in questo caso di sensibilità, educazione e cultura, ma di malafede.

Una malafede che diventa evidente nel caso in cui si diffonde una notizia che scredita gli avversari ma non si divulga la stessa notizia che scredita gli amici. Una notizia è una notizia, punto e basta: non va valutata a seconda di chi danneggia o di chi avvantaggia.

Troppo spesso il giornalista si trasforma in uomo delle pubbliche relazioni, in propagandista, lavoro legittimo ma diverso da quello di operatore dell’informazione. Voler apparire per quello che non si è, fa parte dell’inganno cui assistiamo sempre più spesso. Articoli presentati come informazione non sono altro che propaganda.

A un organo di informazione si richiede indipendenza dal potere politico e da quello economico. Cosa sempre più rara. Caratteristica del giornalista è quella di essere indipendente e infatti appare come tale. Ma in molti casi il giornalista si ammanta di indipendenza, ma indipendente in realtà non è.. E si inganna il pubblico facendo passare il messaggio: “Fidati di me, io sono indipendente”. Invece poi, osservando più a fondo, si vede che l’indipendenza è stata barattata con qualcosa d’altro e il giornalista si trasforma in pubblicitario occulto.

Guardiamo, per esempio le recensioni delle automobili: ne avete mai letta una che boccia un modello appena uscito in commercio? Al massimo c’è qualcosa tipo “lo specchietto retrovisore dovrebbe essere spostato un pochino più a destra” . Oppure “l’accesso alla ruota di scorta è un po’ scomodo”.

Difendere acriticamente il potere, politico o economico, trasforma un giornalista in giullare. Mescolare la pubblicità con l’informazione è un atteggiamento francamente disonesto.

Per la verità il fenomeno non è solo italiano. In tutto il mondo i media indipendenti stanno scomparendo e molti rinunciano alla loro indipendenza e si legano ai vari potentati economici e/o politici.

Per quel che mi riguarda dovremmo invece puntare a un traguardo preciso, difficile ma non impossibile. Separare nettamente, anche per legge, politica, economia e informazione. Uno dei maggiori risultati della Rivoluzione Francese è stato quello di stabilire all’interno del potere politico una netta distinzione tra legislativo, esecutivo e giudiziario. Un’idea sovversiva se si pensa che a quei tempi i tre poteri erano racchiusi in una sola persona, il re.

Ora occorre sostenere con forza la necessità di impedire a qualsivoglia persona di essere allo stesso tempo due di queste cose: capitano d’industria, proprietario di giornali e addirittura titolare di una carica elettiva.

L’obiezione più comune che viene fatta a chi sostiene questa esigenza è che non si può impedire a un imprenditore di presentarsi alle elezioni o a un deputato di possedere un giornale o a un editore di presentarsi alle elezioni.. Si violerebbe la democrazia. E invece è vero esattamente il contrario: la democrazia si difende impedendo ai più forti di esercitare il potere senza controlli e senza vincoli.

La democrazia prevede dei limiti all’esercizio dei diritti. Uno dei limiti è quello di impedire a chi è titolare di un diritto di ledere un diritto degli altri. Chi concentra sulla sua persona anche due di quei diritti (quello di essere imprenditore, di possedere un media, di accedere a una carica pubblica) lede i diritti degli altri, perché provoca un restringimento degli spazi di democrazia.

Il diritto a una libera informazione è sacrosanto, ma l’informazione non è libera se è in mano a un capitano di industria o a un ministro della repubblica.

Quindi proponendo la distinzione tra i tre poteri anzidetti: si difende la democrazia, di cui la stampa è uno dei cardini.

Massimo A. Alberizzi

Twitter @malberizzi

lunedì, dicembre 30, 2013

Libertà di stampa in Italia: esiste!




DIALETTICANDO




Libertà di stampa in Italia: esiste!















A volte sarebbe meglio dire di no.
E' troppo difficile spiegare se l'informazione è di destra o di sinistra.
La notizia è la notizia. Non esiste né destra né sinistra.
Ma poi, quando la si scrive, il modo di trattarla la fa scivolare da una parte o dall'altra. E' il giornalismo militante.

Un difetto, o forse un pregio, tutto italiano.

Nel resto del mondo non è così. La notizia resta una notizia, scritta nel modo più asettico possibile. Poi c’è il commento e qui la politica ha il sopravvento. Il giornale prende posizione, si schiera. Da noi lo fa a prescindere. E’ tutto bianco o nero. Il grigio non esiste. La notizia spesso viene valutata sulla base di un obbiettivo finale. Se serve a combattere il nemico allora la si usa, altrimenti diventa una breve. Ma il giornalismo partigiano è anche quello più guardingo. Quello che non fa sconti e fa nascere le inchieste.

Si potrebbe obbiettare che se le cose sono così, allora non c’è libertà di stampa. Niente di più falso. Il giornalismo militante controlla l’avversario e denuncia qualsiasi tentativo di insabbiamento. Le inutili classifiche sulla libertà di stampa ci pongono al 57mo posto nel mondo. “Siamo dietro al Botswana e al Niger” piagnucoliamo. Ma non teniamo conto del lettore che ci fosse una graduatoria mondiale sarebbe al primo posto per intelligenza e capacità di discernere tra realtà e bugie.  Perché è lui quello che nel nostro sistema informativo ha il ruolo più complesso: farsi l’idea di cosa accade intorno a lui.