Più
che un film, un video-clip di due ore. Tanto pretenzioso quanto vacuo
e mediocre. La grande bellezza di Paolo Sorrentino, fresco premio
Oscar, sembra una di quelle pellicole pensate a tavolino per mietere
premi al di fuori dell’Italia, specialmente dalle parti di
Hollywood. C’è infatti tutto quello che serve per piacere al
pubblico e alla critica internazionale, specialmente alla critica
liberal statunitense: uno stile manieristico ed eclettico che assorbe
spunti da Federico Fellini e da Terrence Malick, la caricatura
dell’Italia e, immancabile, quella acida e becera del
cattolicesimo, che fa sempre “cinema d’autore”
Sorrentino non si dimentica mai di mettere nei suoi film i luoghi comuni folkloristici sull’Italia che tanto piacciono al pubblico cui cerca disperatamente di piacere. Nel Divo (Ita/Fra, Colore, 110’, 2008) Sorrentino rappresenta l’Italia così come se la immaginano gli stranieri, specialmente dopo lo scandalo del bunga bunga: marcia, corrotta, mafiosa e governata da mafiosi. Mancava solo la pizza e il mandolino. E l’anticlericalismo vuoto di La grande bellezza è esattamente un luogo comune sull’Italia, che per gli anglosassoni è una nazione marcia, corrotta e mafiosa a causa del cattolicesimo.
I personaggi del cardinal Bellucci (interpretato da Roberto Herlitzka), della “santa” (interpretata da Giusi Merli) e l’assistente della santa (interpretato da Dario Cantarelli) sono peggio che imbarazzanti. Il cardinale Bellucci sembra meno interessato a Dio e al diavolo che all’alta cucina. Egli si interessa in particolare alla cottura delle carni, che è una allusione facile, alla portata degli spettatori meno avveduti, ai “piaceri della carne”. E a proposito di piaceri della carne, la scena in cui una suora di clausura, nel corso di un incontro con la santa, lancia un sorriso smagliante ad un bel giovane di colore, membro della delegazione di una tribù africana, ha la stessa intensità satirica di una barzelletta che non fa ridere.
Sorrentino non si dimentica mai di mettere nei suoi film i luoghi comuni folkloristici sull’Italia che tanto piacciono al pubblico cui cerca disperatamente di piacere. Nel Divo (Ita/Fra, Colore, 110’, 2008) Sorrentino rappresenta l’Italia così come se la immaginano gli stranieri, specialmente dopo lo scandalo del bunga bunga: marcia, corrotta, mafiosa e governata da mafiosi. Mancava solo la pizza e il mandolino. E l’anticlericalismo vuoto di La grande bellezza è esattamente un luogo comune sull’Italia, che per gli anglosassoni è una nazione marcia, corrotta e mafiosa a causa del cattolicesimo.
I personaggi del cardinal Bellucci (interpretato da Roberto Herlitzka), della “santa” (interpretata da Giusi Merli) e l’assistente della santa (interpretato da Dario Cantarelli) sono peggio che imbarazzanti. Il cardinale Bellucci sembra meno interessato a Dio e al diavolo che all’alta cucina. Egli si interessa in particolare alla cottura delle carni, che è una allusione facile, alla portata degli spettatori meno avveduti, ai “piaceri della carne”. E a proposito di piaceri della carne, la scena in cui una suora di clausura, nel corso di un incontro con la santa, lancia un sorriso smagliante ad un bel giovane di colore, membro della delegazione di una tribù africana, ha la stessa intensità satirica di una barzelletta che non fa ridere.
Il
messaggio è chiaro e gradito al pubblico internazionale ex
protestante, specialmente anglosassone, cui Sorrentino cerca
disperatamente di piacere: i religiosi sono dei repressi nevrotici.
Quando Gambardella domanda al cardinale: «Eminenza, è vero che lei
da giovane faceva l’esorcista?», il volto del cardinale sprofonda
in un chiaroscuro tenebroso. Il messaggio è chiaro e gradito al
pubblico di cui sopra: vero diavolo è chi fa credere al popolo che
il diavolo esiste. Fanno pendant al vescovo-cuoco le tante figure di
religiosi, e specialmente religiose, che vedi aggirarsi per la Roma
di Sorrentino con sguardi derisori e infidi. Il
messaggio è chiaro e gradito eccetera: la religione organizzata è
un inganno.
Quando appare la “santa”, una sorta di caricatura di madre Teresa di Calcutta, il film sprofonda nella farsa. Il suo volto è devastato da una infinità di rughe, la sua bocca si apre solo per mostrare gengive quasi completamente nude, dai suoi occhi trasuda una demenza senile ad uno stadio molto avanzato.D’altra parte, la giovane suora che guarda alla santa con mistico e sofferto entusiasmo, sgranando occhi cerchiati per troppe veglie di preghiera, non appare tanto più lucida. Il messaggio è chiaro e gradito eccetera: per avere fede, speranza e carità bisogna essere irrazionali.
Quando appare la “santa”, una sorta di caricatura di madre Teresa di Calcutta, il film sprofonda nella farsa. Il suo volto è devastato da una infinità di rughe, la sua bocca si apre solo per mostrare gengive quasi completamente nude, dai suoi occhi trasuda una demenza senile ad uno stadio molto avanzato.D’altra parte, la giovane suora che guarda alla santa con mistico e sofferto entusiasmo, sgranando occhi cerchiati per troppe veglie di preghiera, non appare tanto più lucida. Il messaggio è chiaro e gradito eccetera: per avere fede, speranza e carità bisogna essere irrazionali.
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