DIALETTICANDO |
Libertà di stampa: da noi è malafede
di Massimo Alberizzi
L’informazione?
Né di destra, né di sinistra: altrimenti è propaganda
L’informazione
non deve essere di destra o di sinistra, dovrebbe essere “critica”.
Basata su fatti concreti e verificati. Come ci ha insegnato Joseph
Pulitzer: “Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio
che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno
questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti
e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola
divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo
senza il quale falliscono tutti gli altri”.
L’informazione
deve dare fastidio al potere. Non deve essere lo scodinzolante cane
da compagnia dei potentati, ma il feroce cane da guardia dei
cittadini. Non deve avere alcun riguardo per il potere, senza badare
se il potere è di destra, di sinistra, di centro, religioso, laico o
di altro genere. Deve mordere ogni mano che vuol tentare di guidarla.
E’
chiaro che ogni giornalista ha la sua sensibilità, la sua educazione
e la sua cultura ed è chiaro che filtra le informazioni che riceve
attraverso di esse. Ma non è eticamente corretto privilegiare - o
addirittura costruire - notizie dirette a confermare tesi
precostituite. A un giornalista si deve richiedere di essere
intellettualmente onesto.
Oggi
assistiamo sempre più spesso a giornalisti che invece di dare
notizie diffondono indiscrezioni o frasi a effetto. La velocità nel
diffondere le notizie, velocità imposta dalla televisione e da
internet, rende difficile distinguere cosa è vero da cosa è
verosimile. Se ha un dubbio sull’attendibilità di una notizia, un
giornalista non dovrebbe divulgarla. Invece spesso osserviamo che
vengono diffuse notizie incontrollate. E non verificate.
Ciò
accade per due motivi. Il primo perché viene privilegiata la
velocità invece dell’accuratezza e il secondo, ancora più grave,
perché si cerca di favorire una parte politica. Attenzione non parlo
in questo caso di sensibilità, educazione e cultura, ma di malafede.
Una
malafede che diventa evidente nel caso in cui si diffonde una notizia
che scredita gli avversari ma non si divulga la stessa notizia che
scredita gli amici. Una notizia è una notizia, punto e basta: non va
valutata a seconda di chi danneggia o di chi avvantaggia.
Troppo
spesso il giornalista si trasforma in uomo delle pubbliche relazioni,
in propagandista, lavoro legittimo ma diverso da quello di operatore
dell’informazione. Voler apparire per quello che non si è, fa
parte dell’inganno cui assistiamo sempre più spesso. Articoli
presentati come informazione non sono altro che propaganda.
A
un organo di informazione si richiede indipendenza dal potere
politico e da quello economico. Cosa sempre più rara. Caratteristica
del giornalista è quella di essere indipendente e infatti appare
come tale. Ma in molti casi il giornalista si ammanta di
indipendenza, ma indipendente in realtà non è.. E si inganna il
pubblico facendo passare il messaggio: “Fidati di me, io sono
indipendente”. Invece poi, osservando più a fondo, si vede che
l’indipendenza è stata barattata con qualcosa d’altro e il
giornalista si trasforma in pubblicitario occulto.
Guardiamo,
per esempio le recensioni delle automobili: ne avete mai letta una
che boccia un modello appena uscito in commercio? Al massimo c’è
qualcosa tipo “lo specchietto retrovisore dovrebbe essere spostato
un pochino più a destra” . Oppure “l’accesso alla ruota di
scorta è un po’ scomodo”.
Difendere
acriticamente il potere, politico o economico, trasforma un
giornalista in giullare. Mescolare la pubblicità con l’informazione
è un atteggiamento francamente disonesto.
Per
la verità il fenomeno non è solo italiano. In tutto il mondo i
media indipendenti stanno scomparendo e molti rinunciano alla loro
indipendenza e si legano ai vari potentati economici e/o politici.
Per
quel che mi riguarda dovremmo invece puntare a un traguardo preciso,
difficile ma non impossibile. Separare nettamente, anche per legge,
politica, economia e informazione. Uno dei maggiori risultati della
Rivoluzione Francese è stato quello di stabilire all’interno del
potere politico una netta distinzione tra legislativo, esecutivo e
giudiziario. Un’idea sovversiva se si pensa che a quei tempi i tre
poteri erano racchiusi in una sola persona, il re.
Ora
occorre sostenere con forza la necessità di impedire a qualsivoglia
persona di essere allo stesso tempo due di queste cose: capitano
d’industria, proprietario di giornali e addirittura titolare di una
carica elettiva.
L’obiezione
più comune che viene fatta a chi sostiene questa esigenza è che non
si può impedire a un imprenditore di presentarsi alle elezioni o a
un deputato di possedere un giornale o a un editore di presentarsi
alle elezioni.. Si violerebbe la democrazia. E invece è vero
esattamente il contrario: la democrazia si difende impedendo ai più
forti di esercitare il potere senza controlli e senza vincoli.
La
democrazia prevede dei limiti all’esercizio dei diritti. Uno dei
limiti è quello di impedire a chi è titolare di un diritto di
ledere un diritto degli altri. Chi concentra sulla sua persona anche
due di quei diritti (quello di essere imprenditore, di possedere un
media, di accedere a una carica pubblica) lede i diritti degli altri,
perché provoca un restringimento degli spazi di democrazia.
Il
diritto a una libera informazione è sacrosanto, ma l’informazione
non è libera se è in mano a un capitano di industria o a un
ministro della repubblica.
Quindi
proponendo la distinzione tra i tre poteri anzidetti: si difende la
democrazia, di cui la stampa è uno dei cardini.
Massimo
A. Alberizzi
Twitter
@malberizzi